Questo articolo, di Paola Springhetti, è tratto dal mensile dell'Azione Cattolica "Segno" di novembre 2009... tutto da leggere!
Per strada passa una donna nascosta sotto un burqa azzurro e la gente le fa spazio osservandola di nascosto. In classe entra una ragazzina di 14 anni con i pantaloni a vita bassa e l’ombelico che mostra il piercing e nei suoi coetanei maschi gli ormoni rabbrividiscono.
Perché la donna che si nasconde fa più scandalo ai nostri occhi della donna che si mostra? Perché un vestito legato a un’altra tradizione religiosa, portato nonostante le mode, dà più fastidio di un simbolo legato alla nostra tradizione religiosa (una croce) che penzola allegramente dall’ombelico o dal naso di una fanciulla, portato perché così vuole la moda?
Le donne col burqini non possono andare in piscina: motivi igienici, questa è la scusa. Le donne in topless possono andare in spiaggia: questione di libertà, questa è la motivazione.
Libertà. Sotto il burqa si nasconde la schiavitù delle donne che vivono una condizione di discriminazione e hanno perso i loro diritti in una cultura maschilista come quella araba. Così si pensa, e in molti casi è vero.
Ma la ragazzina che ha rischiato un’infezione per avere il piercing sull’ombelico o in posti più difficilmente esibibili, è davvero libera? E se la giovane età, l’ìnsìcurezza, la solitudìne l’avessero portata a una scelta dettata soprattutto dal bisogno di farsi accettare? L’industria della moda e dello spettacolo non sono forse maschiliste?
Cinquantenni con pancetta post-gioventù che portano impietose magliette aderenti e tacchi distruggi- schiena; ragazzine con i fianchi larghi che si infilano in larghi pantaloni con la vita bassa sembrando sacchi di patate; giovani maschi firmati che ogni volta che si muovono sembrano sussurrare “piaccio tanto alla mia mamma”...
Da dove comincia e dove finisce la libertà delle donne? E volendo ripristinarla, da dove bisognerebbe iniziare? Se si vieta il burqa (salvo comprensibili ragioni di “sicurezza”), in quanto simbolo di sottomissione, non bisognerebbe vietare anche le esibizioni modaiole, la plastica al seno a 15 anni, le carriere per meriti “di letto” e quant’ altro? Ma forse il problema del burqa ha un’altra origine. È infatti il segno visibile di una religione diversa da quella che ha plasmato la nostra cultura, che ci dà tra l’altro l’orgoglio di essere un paese occidentale libero, democratico e sviluppato. Ma proprio per questo, perché dovremmo temere le altre religioni, e l’islam in particolare?
Forse perché è minoritario, ma visibile. Molte città hanno impedito che venissero costruite le moschee, ma gli islamici pregano lo stesso, nei garage o per strada. Il loro cibo non si trovava nei supermercati, ma hanno aperto i loro negozi e negli autogrili sono comparsi i panini vegetariani (sono una fetta di mercato, e al mercato non importa a quale religione appartieni). Siamo uno dei paesi al mondo con il tasso di natalità più basso, e loro fanno tanti tigli. Noi vogliamo – giustamente - la presenza del Crocìfisso nei luoghi pubblici, ma non lo mettiamo nelle nostre case. Abbiamo le chiese, ma spesso restano vuote, soprattutto di giovani. Nelle mense aziendali non si vede nessuno rinunciare alla carne il venerdì di Quaresima.
Forse il problema del burqa è questo. Abbiamo paura che qualcuno riesca ad essere diverso, mentre noi non ci riusciamo più ad essere nel mondo ma non del mondo.
Commenti
Credo che sia proprio riuscire ad "essere" nel mondo il problema.
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